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sabato 18 ottobre 2014

Arte zapoteca

Chi erano gli zapotechi?

Gli zapotechi vissero nello stato messicano di Oaxaca.
Si sa molto poco sulle loro origini, e sembra proprio giusto chiamarli «xiiñi’ ca xti’ za ca», nati dalle nuvole. Probabilmente erano imparentati con i mixtechi e con i trike, insieme a cui componevano la famiglia etnolinguistica otomanke.
Alcuni reperti archeologici dimostrano che risalgono a ben 2600 anni fa; nel Quattrocento gli aztechi (o nahua) conquistarono le terre zapoteche. Anche se l’arte zapoteca subí cambiamenti notevoli divenendo tutt’ad un tratto piú simile a quella nahua, la lingua e molti aspetti della cultura rimasero invariati.
Oggi nello stato di Oaxaca vivono i discendenti degli zapotechi, che parlano ancora la lingua originale (affiancata allo spagnolo, naturalmente) e praticano l’antichissima arte del barro negro.

La donna zapoteca

Nelle civiltà meso–americane la donna non era reclusa e poteva partecipare alla vita pubblica.
La donna ânâhuaqueña ci teneva molto all’aspetto e si vestiva vistosamente. I costumi tradizionali femminili in uso oggi tra gli zapotechi sono neri ornati con fiori o altri disegni (molto simili a quelli dei codici precolombiani).
Nell’antichità c’era una donna che aveva un particolare potere: Tobi Guixi. Essa aveva potere piú del re e risolveva le dispute fra nobili. Vestiva di nero secondo la tradizione e mascherava il suo volto con una famosa maschera di giada. Il teschio di tale donna fu trovato ai piedi del Monte Albán con la maschera rituale addosso.

La donna nell’arte zapoteca

Le ceramiche ed i dipinti zapotechi mostravano una donna bella, con vestiti colorati e vistosi, adorna di gioielli, ben truccata e pettinata.
Tuttavia dopo la conquista nahua dello Huaxyacac (l’odierno Stato di Oaxaca), i canoni d’arte zapotechi cambiarono completamente: quella che traspare da allora dai codici è una donna sempre piú seria, immersa pienamente nelle cerimonie che svolge, con vestiti semplici e trucchi meno vistosi.

Il sovrannaturale nell’arte zapoteca

L’arte dei popoli antichi (ed anche degli zapotechi) non mostrava solo il vero. Gli uomini all’epoca avevano un’immaginazione piú fervida, ed immaginavano cose inimmaginabili. I pipistrelli – giaguaro, le persone – piante, lo Spirito del Vento…
In particolare una ceramica zapoteca rappresentava una testa per metà di ragazzo e per metà di… morto! Gli zapotechi nell’arte cercavano un modo di comunicare ciò che con le parole non si sarebbe potuto spiegare.

Arte nahua ed arte zapoteca si incontrano

Con l’avvento dei nahua e degli aztechi il sistema di scrittura degli zapotechi cambiò radicalmente. I codici mixtechi e zapotechi elogiavano le imprese dei Re.
Un soggetto dell’arte zapoteca introdotto (o per lo meno modificato) nel periodo nahua è quello di Tlâloc, il Dio della pioggia. Il Tlâloc zapoteco prese qualcosa da Cocijo, l’antico Dio zapoteco della pioggia.
Teste di Tlâloc sono state rinvenute in siti aztechi, maya, mixtechi e zapotechi.

I codici mixtechi

I mixtechi e gli zapotechi produssero dei codici su pelle seguendo i canoni d’arte nahua. Di questi ce ne restano ben pochi…
Uno di questi, il Codice Zouche Nuttall,  mostra le imprese del sovrano mixteco Una Isu, che unificò le terre di Huaxyacac.
Altri codici mostrano miti della creazione. Uno di questi vuole che i primi Re e caccicchi1 nacquero dalle radici di un albero.

L’arte zapoteca oggi: il Barro Negro

Tecnica già conosciuta dagli zapotechi ed ancora oggi praticata è quella del Barro Negro.

Il procedimento è semplice: dopo aver creato un vaso o una statua, la si immerge in un particolare fango e dopo vari mesi diventa nera come la pece.

Note
[1] Caccicco: Re o capo del villaggio presso i mixtechi e gli zapotechi.

mercoledì 17 settembre 2014

Yîhua Mâzo (Yiiwa Maaso) – La Danza del Cervo


Oggi ancora gli indigeni mayo e yaki nello stato messicano di Sonora praticano la loro danza tradizionale, la Danza del Cervo.
La danza del cervo (yiiwa maaso in lingua yaki moderna, yîhua mâzo nella grafia arcaica, imaseualis masatl in náhuatl moderno) secondo l’antropologo messicano Arturo Warman era praticata già dall’epoca pre–ispanica con pochissime variazioni.
La yiiwa maaso è l’antenata di quelle moderne rappresentazioni fatte per esempio contro la caccia o altre cose del genere: la danza racconta la storia della vittoria del cervo sui paskolas, i cacciatori.
Il cervo è il simbolo degli indigeni mayo, ed è eroe culturale anche degli yaki! Non c’è da dimenticare che comparisse anche nelle mitologie di aztechi, maya e di altre civiltà.
L’attore che interpreta il cervo viene scelto fra i bambini piú belli della tribù e viene trattato con ogni cura perché il suo destino era quello interpretare il cervo. Durante la rappresentazione si adorna in tutti i modi, con collane di perline e di stoffa.
I copricapo ed i costumi indossati sono molto belli ed appariscenti. In particolare l’attore del cervo si copre gli occhi con un velo, pone un copricapo in stile maya a forma di cervo sulla sua testa e indossa bracciali di stoffa bianchi. Gli attori vanno in scena a torso nudo.
La rappresentazione inizia con la musica, e poi entra in scena il cervo. Questo cade a terra colpito mortalmente dai paskolas, ma si rialza e li sconfigge. L’attore che interpreta il cervo dimostra la sua agilità compiendo movimenti leggiadri e leggeri come un vero cervo!
È probabile che nell’antichità yaki e mayo questo rito fosse un pó come il pok–ta–tok o olama dei loro vicini del sud e del nord: una festa che coinvolge in pieno il pubblico e che forse era collegata con riti ben piú profondi.
Oggi però c’è chi la considera un semplice ed insignificante balletto. Mah…

10 parole in mixteco per capire la cultura di Ânâhuac

  • icú: montagna. Secondo i mixtechi la montagna era la madre di tutti gli uomini e gli animali che vi vivevano. Nelle rappresentazioni la montagna è una donna incinta di pietra.
  • ñuhu: luce. Gli anaguatechi ritenevano che la luce del Sole e della Luna fosse continuamente in pericolo e che gli umani, in qualche modo, potevano continuare a preservarle.
  • ñuhú: terra. Per gli anaguatechi ogni singolo frutto della terra era sacro, dal piú piccolo sasso alla piú imponente montagna, dal piú arido deserto alla piú rigogliosa foresta.
  • nuní: mais. Il mais era l’alimento principale degli anaguatechi. Nel Popol Uuh gli uomini sono fatti di mais! Ancora oggi le donne indigene celebrano il mais come un miracolo (usanza già in voga all’inizio della storia di Ânâhuac).
  • ñùù: villaggio. Gli anaguatechi si organizzavano in città intorno a cui sorgevano tanti villaggi dove viveva il popolo. Oggi sono chiamati pueblos e sono ancora abitati.
  • quiví: giorno, ma anche destino. Per gli anaguatechi il destino di una persona era determinato dal giorno in cui nasceva.
  • saví: pioggia. I mixtechi chiamavano sé stessi “popolo della pioggia”. La pioggia era fondamentale perché faceva crescere il mais, alla base dell’economia anaguateca.
  • tùtù: libro. Gli anaguatechi conoscevano la carta e su di essa scrivevano libri pieni di illustrazioni vivacemente colorate.
  • vehe ñuhu: casa di vita, tempio di vita. I templi maya, mixtechi e aztechi erano di forma piramidale, con delle scalinate decorate con iscrizioni e altari in cima. Solo i sacerdoti potevano salire fin sulla cima del tempio, però il popolo partecipava animatamente alle cerimonie religiose.
  • yaa: canzone, canto o poesia. Già dall’epoca maya si mostrava interesse per la musica e per la poesia. Purtroppo non sappiamo molti testi delle canzoni né tanto meno i  loro ritmi, ma in compenso conosciamo gli strumenti che usavano, quali tamburi, flauti e sonagli.

giovedì 4 settembre 2014

Apprendendo Maya Yucateco

MODI DI DIRE NOTTE:

LA FAMIGLIA:

NOMI DI FIORI O FRUTTI:

GLI STRUMENTI MUSICALI:

ALCUNI VERBI MOLTO USATI:

ALCUNI OGGETTI MOLTO USATI:

NOTE:
  • La parola amico è prestito dell'italiano amico e dello spagnolo amigo. Potrebbe essere stata coniata nel periodo coloniale.
  • La parola ahdzot, computer, è stata inventata nel periodo posclassico, cioè in tempi moderni. Oggi è possibile usare Facebook e altre applicazioni in lingua maya.


Yunu Yucu Ninu - Poema in lingua Mixteca

"Yunu Yucu Ninu"

TESTO:
Yucu ninu xian cumasi
ini-ri ji-ro, cuaha quiti nchaca-ro
nuni cháa ñúhu nayuu-roó
ndahu ndahu, nducuiñi-ro

Maro scuanu yuhnu
scuanu ita yisi
ita ndeyu, vihncha, jihi
nduvi ja cahnù scuanu-ro

Yuhnu nuyuja, 
nuxeñu, nujanu
nuyundu, inti-i cahnù

Io iin chaa nditi-ro
te tu cuenda saha-de
conde nu ni ndua-ro
Pa ni saha
te vasi nucuhu ini-de-ro

Chii maro kuu ja saha
Luu! Luu yucu ninu
te nuu ndehe jica-yo
Tuu! Tuu nducuiñi-ro.

TRADUZIONE:
Colle Nero, io ti venero,
Tu dai nutrimento a tutti gli animali.
Però gli uomini della terra ti bruciano
e purtroppo non c'è niente da fare.

Su di te crescono alberi
Boccioli dei fiori,
Orchidee, nopal, funghi,
tutto quanto!

(Strofe 3 & 4: ?!?!?)

Perché tu fai tutto questo,
Bellissimo colle nero,
Quando ti vediamo pensiamo
"Non cambiate mai!"

martedì 2 settembre 2014

Le Avventure di Ixquic pt 002 - Il Popol Uuh

«Messaggeri, non riuscirete ad uccidermi perché non sono hoxbal quelli che sono nel mio grembo! Semplicemente sono stati creati. Sono andata ad ammirare la cosiddetta “Testa di Hun – Hunahpú” a Pucbal Chah. Perciò fermatevi, non sacrificatemi!» disse la fanciulla.
«Ché useremo come sostituto per il tuo cuore?[1] Tuo padre disse: “Portate qui il suo cuore, i Signori lo esamineranno e se saranno soddisfatti il cuore sarà quello. Portate il cuore della ragazza qui, veloci, mettetelo qui nella chicchera!” Non l’ha detto? Cosa metteremo nella chicchera, allora? Non vorremmo che tu muoia, però», risposero i messaggeri.
«Beh, questo cuore non gli appartiene. E poi non è qui che dovrebbero stare le vostre case! Non dovete per forza uccidere le persone! È di voi che abusano, Hun Camé e Uucub Camé. Solo il “Sangue di Drago”[2] gli appartiene! Fate così: bruciate quello davanti alle loro facce,  non bruciate questo cuore. Così sia. Metteteci il frutto di questo albero», replicò la fanciulla.
La linfa dell’albero era rossa, così fu messa nella chicchera.[3]
Il sostituto per il suo cuore fu spremuto dall’albero rosso. La linfa che uscí dall’albero era come il sangue, rosso acceso.
Da quando la ragazza tagliò l’albero esso fu chiamato “Chuh Cac Ché” [«Albero Rosso Acceso del Sacrificio»]. Lei lo chiamò “sangue” e da allora l’albero di chiamò “sangue”.
«Ora andate sulla faccia della terra!» disse la fanciulla ai gufi.
«Va bene, ragazza. Noi  andremo dopo verso l’alto, dopo aver consegnato ai Signori il sostituto del tuo cuore» risposero i messaggeri.
Quando arrivarono davanti alle facce dei Signori, essi speravano bene.
«Ce l’avete fatta o no?!», disse dunque Hun Camé.
«Ce l’abbiamo fatta, Signori. Qui c’è il suo cuore, sul fondo della chicchera.»
«Bene, allora lo vedremo», replicò Hun Camé. Allora lo prese e lo sollevò in alto, e dalla sua superficie sgocciolava finto sangue di colore rosso acceso.
«Accendete il fuoco e mettiamocelo dentro!» disse Hun Camé.
Poi loro lo misero a bruciare sul fuoco e tutta Xibalbá sentí la fragranza. Finí l’ascesa di tutti loro, quand’erano ricurvi sul cuore di Ixquic, mentre si deliziavano con l’odore del sangue bruciato
Poi i gufi si lasciarono tutto alle spalle e andarono ad accompagnare la fanciulla.
Ancora dopo sono tornati giù a Xibalbá da un buco che lasciarono là sulla terra.
Così sono stati sconfitti tutti gli Xibalbani, grazie alla fanciulla che li accecò[4] tutti quanti, Ixquic.




[1] Qui dice iqux, cioè il vostro cuore, anziché aqux, il tuo cuore. Potrebbe essere una forma di rispetto. La forma di rispetto al plurale utilizzata nel testo Popol Uuh è loro.
[2] Si tratta della linfa di certi alberi dei generi Croton, Dracaena, Daemonorops e Pterocarpus.
[3] Il testo riporta xcul anziché xcol, chicchera o recipiente.
[4] Molte espressioni in voga oggi erano conosciute ed usate dai quiché. Quando noi diciamo «ma chi m’ha accecato?» non sappiamo che era un’espressione in voga all’epoca dei maya.

Le Avventure di Ixquic pt 001 - Il Popol Uuh

Poi lei andò da sola, e dunque arrivò[1] sotto l’albero piantato a Pucbal Chah.
«Wow![2] Come sono i frutti di questo albero? Dovrei morire, dovrei dannarmi solo per tagliarne uno?»[3] disse dunque la fanciulla.
Allora parlò il teschio[4] che era lì nell’albero di mezzo:
«Li desideri veramente? Sono solo ossa queste cose rotonde poste sui rami dell’albero!», disse il teschio di Hun – Hunahpú parlando alla fanciulla.
«Tu non li desideri!» disse a lei.
«Li desidero!» disse dunque la fanciulla.
«Okay, allora tendi verso di me la tua mano destra, voglio vederla» disse il teschio.
«Benissimo!» rispose la fanciulla.
Lei protese la mano destra verso l’alto, verso la faccia del teschio. Il teschio così le soffiò.[5] Il soffio cadde sulla mano della fanciulla. Poi lei guardò nella sua mano, subito la vide. Non c’era la saliva del teschio  nella sua mano.
«Semplicemente quello era il segno che io ti ho dato, il mio soffio. La mia testa non funziona, rimangono solo ossa che non possono fare ciò che fa la carne.
Semplicemente è come la testa di un gran signore, solo la carne funziona. Senza morirà e le persone si spaventeranno nel vedere le sue ossa. Perciò rimane solo suo figlio, che è un pó come il suo soffio, il suo sputo, la sua essenza. Se il figlio di un signore, se è il figlio di un saggio, signore del linguaggio, non sarà perso, lui continuerà, lui renderà tutto completo.
Non spegne, non rovina la faccia del signore, del guerriero, del saggio, del signore del linguaggio. Semplicemente questi rivivono nelle loro figlie e nei loro figli.
Così sia, come ho fatto con te, va’ là sulla faccia della terra, non morirai. Entrerai nella storia. Così sarà», disse il teschio di Hun – Hunahpú e Uucub – Hunahpú. Semplicemente erano gli stessi i loro pensieri[6] quando fu fatto. Così parlarono Haracán, Chípi Caculhá, Raxá Caculhá.




[1] Anziché xopón, arrivò, nel testo c’è scritto xapon.
[2] Testualmente hiá, termine senza traduzione. Si tratta del suono fatto quando si è stupiti, simile all’italiano ah! oppure all’esclamazione wow!.
[3] Nella traduzione di Ugo Stornaiolo si legge «questi frutti non dovrebbero marcire. Potrei prenderne uno?». Recinos invece traduce come qui «dovrei morire, dovrei dannarmi solo per tagliarne uno?».
[4] Il testo riporta bak, osso, anziché holom, teschio o testa. È però ovvio che si tratta del cranio di Hun – Hunahpú.
[5] Nella mitologia azteca il “soffio della vita” è ciò che tiene in vita il Sole e l’universo. Fu il “soffio della vita” a mettere in cinta la fanciulla e a dare vita ai mitici Hunahpú e Ixbalânqué.
[6] Nel testo si legge xaui quinaoh, cioè stessi loro pensieri; Ugo Stornaiolo traduce erano una sola mente. Anche se la testa è di Hun – Hunahpú anche Uucub – Hunahpú pensa con quel cervello. 

Cos‘è un ânâhuatécatl?

«Ânâhuatécatl» (talvolta adattato in spagnolo o in italiano come “anaguateca”) è una parola náhuatl composta dalle parole “â[tl]”, “nâhua[tl]”, “cân” e  “têcatl”. Significa «Abitante delle Terre della Voce dell’Acqua», ed era il nome con cui gli Aztechi definivano sé stessi e gli altri popoli di Ânâhuac, cioè gli odierni Nuovo Messico, California, Messico, Guatemala, Honduars, Belize e Nicaragua.
Gli anaguatechi avevano lingua, cultura e religioni diversi l’uno dall’altro, però erano una stessa civiltà con una comune storia e una comune filosofia.
Le lingue parlate dagli anaguatechi erano: navajo, purépecha, náhuatl, zapoteco (in tutte le sue varietà), mixteco (in tutte le sue varietà), maya yucateco (o itzá), maya quiché, maya cakchiquel e pipil (oltre a un numero incredibile di altri dialetti e lingue). La cosa piú bella è che tutte queste lingue sono sopravvissute fino ad oggi con pochissime variazioni!
La loro filosofia era basata sul rispetto per la natura. Ogni cosa, dal monte piú alto al piú piccolo bocciolo, dalla piú dura roccia all’intoccabile vento, era sacra.
La storia di Ânâhuac è stata segnata da continue guerre di conquista che hanno fatto acquistare ai piú miseri villaggi un potere enorme, come nei casi di Tikal o di Tenôchtitlân.
La fine di una civiltà così avanzata e raffinata (forse piú dei greci o dei romani) fu causata dai conquistadores spagnoli, che però, dopo la conquista, pensarono di rendere pubbliche al mondo la storia e la cultura di Ânâhuac.
Ma la storia raccontata dagli spagnoli non è fedele alla realtà! Per scoprire la verità, seguiteci su Facebook! https://www.facebook.com/inanahuatecatl

Codice Borbonico

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Questo è il “Rituale Del Fuoco Nuovo”, o ”Rituale Dell’Anno Nuovo”